Il 2 giugno è una data fondamentale per la storia italiana: nel 1946, con un referendum istituzionale, il popolo italiano scelse la Repubblica, ponendo fine alla monarchia sabauda e aprendo la strada a una nuova stagione democratica. È una festa nazionale, simbolo di rinascita e di autodeterminazione popolare. Tuttavia, mentre nelle piazze si sventolano tricolori e si celebra l’unità del Paese, l’attuale governo di destra guidato da Giorgia Meloni offre motivi di riflessione e, per molti, di preoccupazione sul reale stato di salute della nostra democrazia.
Il paradosso della celebrazione repubblicana
La Festa della Repubblica dovrebbe rappresentare i valori fondanti della nostra Costituzione: uguaglianza, laicità, antifascismo, partecipazione democratica. Tuttavia, l’attuale esecutivo sembra sempre più spesso prendere le distanze da questi principi. Il governo Meloni, con il supporto di figure come il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e la ministra dell’Istruzione Giuseppe Valditara, sta portando avanti una narrazione identitaria, conservatrice, incentrata sulla "nazione" intesa in chiave escludente e nostalgica.
Ma è soprattutto la figura di Ignazio La Russa, presidente del Senato, a rappresentare l’anomalia istituzionale più evidente. Storico esponente della destra post-fascista, La Russa non ha mai nascosto la propria simpatia per il passato mussoliniano, collezionando busti del Duce e minimizzando costantemente i crimini del fascismo. È surreale che un rappresentante di tale rilievo istituzionale, secondo nella gerarchia dello Stato, partecipi alle celebrazioni del 2 giugno: una festa che commemora, tra l’altro, la definitiva uscita dell’Italia dalla stagione fascista.
Giorgia Meloni: la retorica e la realtà
Giorgia Meloni, prima donna a capo del governo italiano, si presenta come una leader pragmatica e moderna. Eppure, la sua retorica e le sue scelte politiche raccontano altro: un ritorno a modelli autoritari, alla centralizzazione del potere, alla compressione dei diritti civili. La riforma del premierato e la spinta verso l’autonomia differenziata rischiano di minare l’equilibrio istituzionale e la coesione nazionale. In nome dell’efficienza e della "governabilità", si indeboliscono pesi e contrappesi, si marginalizza il ruolo del Parlamento, si accentuano le disuguaglianze territoriali.
Inoltre, l’atteggiamento verso la stampa libera, l’opposizione e le organizzazioni sociali è sempre più ostile. Il governo Meloni parla spesso di libertà, ma agisce limitando il dissenso e costruendo un clima di sospetto verso tutto ciò che non rientra nella propria narrazione ideologica.
La memoria come campo di battaglia
Uno degli aspetti più critici di questo governo è l’uso strumentale della memoria storica. La destra al potere cerca di riscrivere il passato, mettendo sullo stesso piano i partigiani e i repubblichini, e promuovendo una visione "pacificata" della storia che in realtà nega la responsabilità del fascismo. Si tenta di svuotare la Resistenza del suo significato politico, riducendola a una generica riconciliazione nazionale. Questo revisionismo è un’offesa alla memoria di chi ha lottato e pagato con la vita per una Repubblica libera.
Una festa da difendere
Il 2 giugno deve essere un momento di orgoglio e di consapevolezza civica, non una vetrina ipocrita per un governo che si muove in direzione opposta rispetto ai valori repubblicani. Difendere la Repubblica oggi significa anche esercitare la critica, vigilare sulla deriva democratica, ricordare che la Costituzione non è un ornamento da sbandierare una volta l’anno, ma un patto quotidiano da onorare con azioni coerenti.
In un’Italia dove la memoria è distorta, il dissenso delegittimato e i diritti rimessi in discussione, celebrare il 2 giugno assume un significato ancora più urgente: quello di ribadire che la Repubblica appartiene a tutte e tutti, non a chi ne tradisce lo spirito.
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