Il nome di Guglielmo Palozzi, fino a pochi giorni fa, era quello di un uomo silenzioso. Nessun clamore, nessuna storia da prima pagina. Fino a quando, in piena luce del giorno, ha preso in mano una pistola e ha ucciso l'uomo che riteneva responsabile della morte del figlio. Un gesto estremo. Inaccettabile. Ma anche profondamente umano, nella sua drammatica fragilità.
Giuliano,
il figlio di Palozzi, è morto nel 2020, vittima di un pestaggio. L’uomo
condannato per quel delitto, Franco Lollobrigida, era tornato libero. Guglielmo
lo ha visto camminare per le stesse strade di sempre, forse sorridere, vivere.
E qualcosa dentro di lui si è rotto definitivamente.
Il dolore che non conosce tregua
Chi
è genitore lo sa: perdere un figlio non è un lutto, è una riscrittura feroce
dell’anima. La casa si svuota, il tempo diventa nemico. E ogni sguardo della
gente sembra dire: “Andate avanti”, quando tu non sai più dove si vada.
E
allora il gesto di Palozzi non è solo una vendetta. È il grido disperato di un
uomo che si è sentito tradito dalla giustizia, abbandonato dalle istituzioni, e
ha trasformato la rabbia in fuoco.
Come Alberto Sordi nel capolavoro di Monicelli
Impossibile
non pensare a Un borghese piccolo piccolo. Alberto Sordi interpreta un padre
qualsiasi, che dopo la morte assurda del figlio, cede all’istinto più buio. Non
c’è redenzione nel suo sguardo, solo un vuoto che divora. Palozzi, in fondo, è
una figura simile. Non è un vendicatore, né un criminale incallito. È un padre
che ha perso tutto e che forse non cercava giustizia, ma soltanto di spegnere
il rumore del dolore.
Non possiamo giustificare. Ma possiamo capire?
La
legge è il confine che ci protegge. E quella frontiera non può essere violata.
Ma quanto è facile condannare seduti al sicuro, lontani da quella sofferenza
cruda e assoluta? Se fossimo stati noi, nella sua casa vuota, tra le foto
impolverate e le voci mancanti, saremmo riusciti a resistere?
E voi, cosa avreste fatto?
Questa
domanda non è un invito alla vendetta, né una richiesta di giustificazioni. È
un confronto sincero con la parte più fragile di noi. Quella che, di fronte
all’ingiustizia, non sa più dove cercare luce.
Scrivetemi.
Raccontate cosa avreste sentito. Non per giudicare Guglielmo Palozzi, ma per
capire che dietro ogni tragedia, c’è una storia fatta di silenzi, di notti
insonni, e di un amore che non muore mai.
un saluto
David
Conti
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