La morte ingiusta di Paolo
Mendico: una tragedia che chiama in causa anche le famiglie dei bulli
Paolo Mendico aveva quattordici
anni. Amava la musica, suonava il basso e la batteria, pescava con il padre.
Era un ragazzo sensibile, gentile, riservato. L’11 settembre 2025, poche ore
prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, si è tolto la vita. Lo ha fatto
dopo anni di insulti, di aggressioni, di isolamento. Lo ha fatto dopo anni di
silenzi.
La sua morte ha scosso la
comunità e l’intera nazione, ma non basta commuoversi. È necessario
interrogarsi, con lucidità e coraggio, su ciò che ha permesso che questa
tragedia si consumasse. Perché Paolo non è morto solo per mano dei suoi
aguzzini. È morto anche per colpa di chi ha taciuto, di chi ha minimizzato, di
chi ha voltato lo sguardo altrove di chi non ha educato, di chi se ne è
infischiato.
La scuola che non ha visto, o
non ha voluto vedere
Secondo quanto riferito dalla
famiglia, Paolo era vittima di bullismo da anni. Veniva chiamato “Paoletta”,
“nano da giardino”, deriso per il suo aspetto, isolato dai compagni. Alcuni
insegnanti, stando alle testimonianze, avrebbero persino partecipato al clima
ostile. La preside dell’Istituto Pacinotti ha dichiarato di non aver ricevuto
segnalazioni formali, ma resta difficile credere che nessuno si sia accorto di
nulla. Paolo aveva persino tagliato i capelli per evitare gli insulti. Piangeva
ogni giorno. Eppure, nessuno ha agito in modo efficace.
La responsabilità delle
famiglie: l’educazione che manca
Ma non è sufficiente puntare il
dito contro la scuola. È tempo di dire con chiarezza che anche i genitori dei
ragazzi che hanno bullizzato Paolo portano sulle spalle una responsabilità.
Dove erano quando i loro figli insultavano, sputavano, picchiavano? Dove erano
quando Paolo veniva umiliato, escluso, ferito?
L’assenza dei genitori dei bulli
è un atto di codardia. È il segno che il problema non è solo nei ragazzi, ma in
chi li educa. Il bullismo non nasce nel vuoto: si alimenta in famiglie che non
insegnano il rispetto, che giustificano la “goliardia”, che ignorano il dolore
altrui che sovente offendono a loro volta le diversità e anche le eccellenze, poiché
loro stessi sono poco.
Si deve insegnare ai figli, io
cerco e mi sforzo di farlo, il rispetto di tutti gli esseri umani, il rispetto
della diversità, della non conformità, della bellezza di ogni singolo uomo in
senso esteso.
Una chiamata alla
responsabilità collettiva
La Procura ha aperto un fascicolo
per istigazione al suicidio. Ma la giustizia da sola non basta. Serve una presa
di coscienza collettiva. Serve che ogni insegnante, ogni genitore, ogni
dirigente scolastico si chieda: “Sto facendo abbastanza per proteggere i più
fragili?” Perché Paolo non è un caso isolato. È il simbolo di un sistema che ha
smesso di ascoltare.
La sua morte deve diventare un
monito. Non possiamo permettere che accada di nuovo. Non possiamo continuare a
ignorare il dolore dei ragazzi che ogni giorno affrontano la scuola come un
campo di battaglia. Non possiamo più tacere.
Difendiamo sempre i più deboli, combattiamo l'ignoranza e la violenza, proteggiamo i nostri figli e quelli degli altri.
Ciao Paolo
DC
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