Quando l’amore si spezza: il dramma di una madre che uccide il proprio figlio
Udine, Italia – “Ho fatto una cosa mostruosa”. Con
queste parole, Lorena Venier, 61 anni, ha confessato l’omicidio del figlio
Alessandro, 35 anni, trovato senza vita nella loro abitazione. Una frase che
racchiude un abisso di dolore, confusione e disperazione. Ma come può una
madre, simbolo universale di protezione e amore, arrivare a togliere la vita al
proprio figlio?
Un legame spezzato
La maternità è spesso idealizzata come un vincolo
indissolubile, fatto di dedizione e sacrificio. Ma dietro le mura domestiche,
lontano dagli occhi del mondo, si celano talvolta dinamiche complesse, fatte di
sofferenze invisibili, disturbi mentali non diagnosticati, solitudini croniche
e relazioni logorate.
Nel caso di Udine, le indagini sono ancora in corso. Si
ipotizza un avvelenamento, ma il movente resta oscuro. Lorena era una donna
apparentemente tranquilla, descritta dai vicini come riservata, educata.
Nessuno avrebbe mai immaginato un epilogo simile. Eppure, qualcosa si è
incrinato. Forse lentamente, forse all’improvviso.
Quando la mente crolla
La criminologia ci insegna che
l’infanticidio da parte di una madre può avere radici profonde. In alcuni casi,
si tratta di disturbi psichiatrici gravi come la depressione post-partum, la
psicosi o il disturbo borderline. In altri, si tratta di situazioni di abuso,
dipendenza o isolamento sociale che portano a una perdita totale di lucidità.
Nel 2022, a Viterbo, una madre
uccise il figlio di 7 anni dopo anni di violenze subite dal marito. In quel
caso, il gesto fu interpretato come una tragica richiesta d’aiuto, un grido
disperato inascoltato.
Il silenzio delle case
Molti di questi drammi si
consumano nel silenzio. Le famiglie diventano prigioni, le relazioni si
trasformano in trappole. E quando non c’è rete sociale, quando mancano i
servizi di supporto psicologico, quando la vergogna impedisce di chiedere
aiuto, il rischio di una tragedia aumenta.
Il caso di Udine ci interroga.
Non solo sul gesto in sé, ma su ciò che lo ha preceduto. Cosa ha vissuto
Lorena? Quali segnali sono stati ignorati? E soprattutto: come possiamo evitare
che accada di nuovo?
Umanizzare, non giustificare
Umanizzare non significa
giustificare. Significa cercare di capire. Perché dietro ogni crimine c’è una
storia, e dietro ogni storia ci sono ferite. La giustizia farà il suo corso, ma
la società deve interrogarsi sul proprio ruolo: nel prevenire, nell’ascoltare,
nel proteggere.
Alessandro non c’è più. Lorena è
in stato di arresto. E una città intera si ritrova a fare i conti con un dolore
che non si può spiegare, ma che non si deve ignorare.
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