In un'epoca dominata da tecnologia e intelligenza artificiale, dove l'arte sembra spesso dissolversi in forme digitali effimere, emerge con potenza il talento di uno scultore capace di restituire alla materia la sua anima: Yago. Nato a Roma nel 1987 con il nome di Jago Jacopo Cardillo, questo artista ha conquistato l’Italia – e il mondo – scolpendo non solo il marmo, ma anche il tempo, la sofferenza, la spiritualità e l’umanità più profonda. È giunto il momento di riconoscerlo per ciò che è: il più grande scultore italiano vivente, e uno dei maggiori eredi del nostro glorioso Rinascimento.
La perfezione tecnica: tra Michelangelo e il futuro
Chi osserva per la prima volta un’opera di Yago resta spesso senza parole. La sua padronanza del marmo è tale da evocare immediatamente i grandi maestri del passato: Michelangelo, Bernini, Canova. Ma ciò che lo rende unico non è solo la tecnica impeccabile, è la capacità di parlare all’anima. Ogni scultura di Yago è un grido silenzioso, una poesia di carne e pietra. Il dettaglio dei muscoli, la tensione nelle mani, le rughe scolpite con una precisione quasi dolorosa: tutto vibra di vita.
Non è un caso che l’artista abbia rimosso la pelle della scultura del Papa Emerito Benedetto XVI, mostrando la fragilità sotto la santità. Con questa sola opera, Yago ha fatto ciò che molti non osano: ha raccontato la verità, l’uomo oltre l’icona. Ed è proprio in questo coraggio che risiede la sua grandezza.
Emozione pura, pietra viva
La scultura, per Yago, non è decorazione. È racconto, riflessione, confronto. Ogni opera è un ponte tra il visibile e l’invisibile. In Figlio Velato, potente omaggio al Cristo Velato del Sammartino, l'artista rende il marmo pelle, dolore, respiro. Non è imitazione, ma reinvenzione. Lo spettatore non guarda: partecipa, soffre, si commuove.
Yago riesce a fare ciò che solo i veri artisti sanno fare: trasformare la materia in emozione. Le sue opere non si limitano a occupare lo spazio; lo caricano di una forza spirituale che travolge. Nei suoi volti scolpiti c’è la tragedia umana, ma anche la speranza, la preghiera, l’attesa.
Lo scultore del popolo e del presente
Yago non è rinchiuso nei palazzi aristocratici dell’arte, non è un artista distante. Lavora in luoghi simbolo del degrado e della rinascita, come il Rione Sanità di Napoli, trasformando ogni gesto creativo in un atto di cittadinanza, di amore per la comunità. Porta la bellezza dove sembra non esserci spazio per essa, rendendo l’arte un diritto, non un privilegio.
Questo impegno etico e sociale si intreccia con la sua poetica: la bellezza non è fuga, è resistenza.
Un gigante del nostro tempo
In un’Italia che spesso dimentica i suoi talenti finché non vengono celebrati all’estero, Yago è un faro. Le sue sculture sono già entrate nei musei e nelle collezioni più prestigiose, ma è nei cuori delle persone comuni che trova il suo altare più autentico.
Yago non è soltanto uno scultore. È un visionario, un umanista, un messaggero. La sua arte non solo dialoga con il passato, ma lo rinnova, lo sfida e lo proietta nel futuro. In lui c’è la memoria di Michelangelo e il coraggio di un artista contemporaneo che non ha paura di confrontarsi con il dolore, la morte, la spiritualità.
Yago è il presente dell’arte italiana, ed è già la sua storia. E quando, tra secoli, si parlerà dei grandi scultori del nostro tempo, il suo nome sarà scolpito – come le sue opere – nel marmo eterno della bellezza.
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